L’Italia scopre il Congo: Intervista a Padre Albanese

Congo, padre Albanese: “Milizie e massacri. In questo inferno l’Occidente ha fallito”

Intervista con il sacerdote giornalista: «Troppi interessi dietro le stragi. Oggi ci accorgiamo di questa zona, ma la tragedia va avanti da decenni»

CITTÀ DEL VATICANO. «Massacri, stupri, stragi di innocenti. Il Congo è un inferno ogni giorno di più, ignorato dal resto del mondo. Anche a causa del fallimento delle missioni Onu e della Comunità internazionale». Il missionario comboniano padre Giulio Albanese risponde dopo aver parlato a lungo con i suoi tanti amici nella Repubblica Democratica. Li ha chiamati per sincerarsi della situazione nelle convulse ore successive all’attacco al convoglio delle Nazioni Unite in cui è stato assassinato l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, 43 anni, morto in ospedale a Goma. Non ce l’hanno fatta neanche il trentenne carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo. Padre Albanese trascorre la sua vita tra l’Italia e l’Africa, dove da sempre segue da vicino le aree di crisi. È stato varie volte in Congo, «ripetutamente da decenni». Giornalista, ha fondato l’agenzia Misna (Missionary International Service News Agency), e ha diretto le riviste missionarie della Conferenza episcopale italiana. Oggi è editorialista dell’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, su cui scrive di Africa.

Padre Albanese, qual è oggi la realtà del Congo?

«È un disastro quotidiano, provocato da un intreccio mortale di bande armate, dalla matrice islamista ma non solo. Alcune giungono dai Paesi limitrofi, lungo il confine con Uganda e Ruanda. Fanno il bello e il cattivo tempo, con una violenza che va al di là di ogni fantasia e immaginazione. A queste formazioni si aggiungono i Mai-Mai, squadre “patriottiche”, schegge impazzite che una volta stanno da una parte una volta dall’altra. In Congo basta avere un mitragliatore per sbarcare il lunario. E poi, sullo sfondo, gruppi economici “occulti” (è un eufemismo, ovviamente)». 

[…]

Vi rimandiamo all’articolo completo dell’intervista pubblicata su La Stampa