Don Felice torna in Brasile dopo 5 anni di servizio alla missione in Italia al CUM di Verona.
Abbiamo avuto la possibilità di godere della sua amicizia e della sua passione per la missione! Abbiamo ascoltato i suoi racconti sugli anni in Brasile e le sue omelie sui Vangeli che ci hanno sempre stupito. Ci ha promesso che continuerà a mandarmele via mail! L’ultima volta, qualche settimana fa, ci ha aiutato a leggere il SInodo sull’Amazzonia.
Oggi lo salutiamo ringraziandolo per le volte che è venuto a Pescara, perché ci ha sempre arricchito molto… Mai scontato, sempre arguto!
Grazie Felice!
Chissà, magari questa volta verremo noi a trovarti…
Ti abbracciamo
Il CMD di Pescara
Qui di seguito la sua lettera di saluto, vi invitiamo a leggerla ed insieme a farne tesoro.
SOLO OSPITE,
MAI CITTADINO…
Zaino in spalla, scarpe leggere ai piedi, panino nella saccoccia… e via lungo le strade del mondo. Beh, non è proprio così. Due valige pronte e un posto in aereo che mi attende. Biglietto solo di andata! Proprio così, me ne torno in terra brasiliana, precisamente nel sertao del Brasile, diocesi di Floresta.
L’avevo lasciata cinque anni fa, richiamato in Italia, per un servizio di formazione a Missio-CUM. In questo Centro Unitario di formazione per la Missione ho avuto la fortuna di incontrare molti uomini e donne innamorate della ‘missione’: preti e laici fidei donum, religiosi e religiose, in partenza o in ritorno, italiani o stranieri provenienti dalle giovani chiese. Cinque anni meravigliosi! Una ricchezza e un’esplosione di vita da far invidia a chiunque. Ora riprendo il cammino della ‘missione’ tra le strade polverose del sertao e la gente semplice del nordest brasiliano.
Che cosa mi spinge a fare questo? Non lo so proprio. Ma una cosa in questi anni ho imparato: lo Spirito del Risorto spinge ogni persona ad essere ‘in missione’, a fare della vita una ‘missione’; e sfida noi cristiani a inventare una chiesa sempre ‘in missione’. Poiché, come affermano i teologi Bevans e Schroeder: “Missione è l’azione dei cristiani che combattono l’ingiustizia e l’oppressione; è fasciare le ferite nella riconciliazione; è la chiesa che annuncia Cristo per la prima volta; è la chiesa che impara da altre vie religiose ed è messa in discussione dalle culture del mondo. La ‘missione’ esiste nei quartieri urbani multiculturali, nei villaggi rurali ghanesi, nelle favelas brasiliane, nelle università europee, nel cyberspazio mondiale. Missione è la chiesa locale che si concentra non sui propri problemi interni, ma sugli esseri umani, fissando altrove la propria attenzione, in un mondo che la chiama e la mette in discussione”. Per questo posso dire, a voce alta, l’invito di Papa Francesco: Io sono una missione.
Intraprendo questo cammino portando nella saccoccia tanto coraggio e un po’ di luce che ci viene dall’esperienza e dalla testimonianza dei primi discepoli e discepole del Risorto. E dalla bisaccia di viandante/missionario traggo pagine vecchie e sempre nuove, sono un po’ sdrucite e unte dal tempo, ma preziose perché indicano la direzione. Ve le ricordo e così, insieme, possiamo lasciarci illuminare.
La prima pagina che leggo è stata scritta da una comunità presente in Asia Minore verso l’anno 100 d.C., era affascinata dall’amore di un Dio che si fa umano:
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»”.
(Giovanni 20,19-22)
Gesù si presenta nel bel mezzo della comunità e saluta i discepoli con l’augurio portatore di vita piena: “Pace a voi”. La sua presenza, con i segni della vittoria impressi sulle mani e nei piedi, è portatrice di speranza e di coraggio. Accogliendo con gioia il suo Signore, la comunità è pronta a ricevere la missione che il proprio Gesù ricevette: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. E cosa è inviata a fare e testimoniare la comunità? Ce lo dice lo stesso evangelista: “A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Peccato per Giovanni consiste essenzialmente nell’aderire a quell’ordine e a quel sistema ingiusto che ha portato a uccidere Gesù. Peccato è far parte di questo sistema, che crea morte e distrugge la vita. In questo contesto perdonare i peccati significa aiutare le persone, con gesti di accoglienza e amore, ad uscire dalle catene che imprigionano gli uomini e le donne: violenze, soprusi, ingiustizie, disanimi, economie di morte… È una missione di liberazione, di cura, di guarigione.
Ed ecco il secondo foglio, in esso sono impresse le ultime parole lasciateci dal Maestro, raccolte molto probabilmente da una comunità presente in Antiochia di Siria verso gli anni 80-90 d.C.
“Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»”.
(Matteo 28,16-20)
È in Galilea il luogo dove il Risorto li attende. È lì che occorre andare per incontrarLo vivo e risuscitato. Galilea delle genti, terra di mezzo, incrocio di popoli e culture. Terra non amata dagli ebrei, per loro è terra pericolosa, terra ricolma di gente impura ed eretica…terra da evitare per non sporcarsi e rendersi impuri dinanzi al Signore Iddio. Ed è proprio lì che Gesù li vuole: dove ci si può sporcare le mani, dove si può essere giudicati male, dove si può piangere per il dolore e le sofferenze di tanti. E vanno lì, sul monte delle fatiche e delle sofferenze. Ci vanno con la certezza di essere dinanzi al Signore, loro compagno di viaggio. Dinanzi a Lui “si prostrano” come per dire: ci siamo, eccoci, siamo pronti a seguirti. E il Vangelo ci ricorda: “Essi, però, dubitano“. Il dubbio ci accompagna sempre. E’ il nostro bagaglio di viaggio. Ci tiene desti, ci permette di non sederci e ci costringe a non installarci nelle nostre sicurezze, torrioni massicci e mura impenetrabili. Ora le ultime parole del Risorto si trasformano in un invito accorato, profondo e stimolante, quasi che il Signore abbia bisogno di noi: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…”. L’andare: verbo fondamentale nella nostra azione di discepoli e discepole. Andate: un imperativo che diventa stile di vita, e cammino di ogni giorno. Noi abbiamo dimenticato ‘l’andate’ e siamo rimasti fermi al ‘venite’. Nelle nostre comunità si sente la mancanza di una pastorale del cammino e dell’incontro. Dobbiamo essere missionari che vanno incontro al mondo, rispondendo alle sue domande ed inquietudini in una maniera dinamica e creativa.
Attenzione, però. Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, andate, ma ha detto: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida a tutta la Chiesa. Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia ad ogni creatura. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. E’ per tutti. Non lasciamoci avvolgere dalla paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. Occorre tornare all’annuncio di Gesù, riscoprire il suo amore, la sua compassione, il suo sguardo, i suoi gesti, il suo modo di trattare le persone. Lo stile di Gesù ci dice che il centro dell’amore missionario sta nell’altro che deve crescere e raggiungere la pienezza di vita.
Rinnovare la scelta preferenziale per i poveri, impegnarsi per profonde trasformazioni sociali, difendere e promuovere i diritti umani e salvaguardare il creato sono inviti concreti. Costruire e sostenere la formazione di piccole comunità attorno alla Parola di Dio, creare nuovi ministeri, promuovere il dialogo tra le culture, formare, capacitare e includere i laici nell’azione pastorale della chiesa, dando loro maggior partecipazione nell’azione missionaria, sono piste da percorrere con dinamismo e coraggio.
Possiamo farcela? Dubitiamo? Siamo perplessi? E’ proprio questo che Gesù ci chiede? Domande, dubbi, esitazioni ci abitano e abitano le nostre comunità. Ma una Parola ci rasserena, Lui ce la sussurra all’orecchio e la deposita nel nostro cuore: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo…”. Il Dio di Gesù, che esige giustizia e ci spinge a umanizzare il mondo, è anche il Dio gratuito che irrompe come dono nelle nostre vite. E’ la gratuità che viene e domanda attenzione, ringraziamento, speranza, cuore aperto e disponibile.
Rimetto le vecchie pagine ingiallite nello zaino e riprendo il cammino della ‘missione’; vi saluto e vi abbraccio ricordando le parole del filosofo Hermann Hesse:
“Per me è meglio cercare e mai trovare che legarmi, caldo e stretto a quanto mi è accanto, perché anche nel bene, su questa terra sono solo ospite, mai cittadino.”
Felice Tenero, presbitero ‘fidei donum’.