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Padre Kizito, Nairobi – 12 Maggio 2020

Oggi in Kenya si registrano 32 morti dall’inizio della pandemia da Covid-19. Inizio che ha quasi coinciso con le prime piogge di una lunga e violenta stagione che ha già causato inondazioni, frane, crolli con oltre 200 morti e 230,000 sfollati. Centinaia di pescatori che abitavano su isole nel Lago Vittoria, secondo al mondo come superficie – sono stati evacuati con le loro famiglie perché l’alzarsi del livello delle acque le sta sommergendo. A Mwewa, distretto di produzione agricola, oltre 3,200 ettari di riso ormai pronto al raccolto sono stati persi, sott’acqua. In contrasto, lo scorso anno era iniziato con una siccità che nel Nord-Est del paese aveva causato la morte di decine di migliaia di capi di bestiame e portato 3,5 milioni di persone sull’orlo della fame. Oggi, la stessa area – che comprende anche una vasta parte di Etiopia e Sud Sudan – sta subendo un’invasione di locuste, la peggiore negli ultimi 70 anni, e ancora non si sa come si evolverà. Nonostante tentativi di controllo con aerei che irrorano insetticidi sugli sciami, sembra addirittura che in questi giorni ci sia una pausa solo perché stanno deponendo le uova .

Questo breve elenco di fatti potrebbe iniziare a spiegare perché il Covid-19 non fa poi cosi tanta paura in Kenya, e generalmente in Africa. Qui i disastri – naturali o causati dall’insipienza e dall’avidità umana – si susseguono senza sosta. Aggravati dallo sconsiderato, criminoso sfruttamento delle risorse naturali che le compagnie internazionali hanno accelerato negli ultimi decenni. Per non dire dallo sfruttamento delle persone. Non c’è quindi da meravigliarsi se “solo” 32 mori in due mesi non suscitano tanto allarme, e la gente,nonostante il coprifuoco e tante altre restrizioni, cerca di continuare la vita normale, anche rischiando e aggirando le disposizioni governative.

Come fanno gli africani a sopportare il susseguirsi di tante disgrazie. Fatalismo? Le generalizzazioni sono sempre pericolose ma se fatalismo significa abbandonarsi al destino, subendolo senza reagire, credo che sia un atteggiamento alieno all’animo umano in ogni parte del mondo e in ogni cultura. Qui in Africa in modo particolare. Bisognerebbe essere ciechi, o accecati dai pregiudizi, per non vedere la grande voglia di impegnarsi per la vita.
In questi giorni lo vedo nei ragazzi più grandi che abbiamo riscattato dalla strada due settimane fa. I primi giorni sono stati facili, ma poi sono arrivate le crisi di astinenza, le crisi di autostima, sono ritornati gli incubi vissuti sulla strada in condizioni quasi subumane. Eppure finora abbiamo visto che sono capaci di reagire, e in loro si rimettere in moto tutto l’amore per la vita che hanno dentro.

E la stessa forza che ogni mattina fa alzare del letto, o dalla stuoia, o dalla coperta stesa sul pavimento le migliaia e migliaia di persone che alle 5:01 del mattino, appena finisce il coprifuoco, sono in strada per andare a lavorare, o a cercare lavoro occasionale, per poter dar da mangiare ai figli. Stamattina a quell’ora ero anch’io in strada, ma in auto, e nella fila di persone in cammino verso la più vicina stazione di matatu, ho riconosciuto la sagoma corpulenta di Eddy. Mi son fermato, gli ho chiesto se voleva stringersi con gli altri sul sedile posteriore, e nel tragitto mi ha raccontato che andava al mattatoio per cercare carne a buon prezzo da cuocere e rivendere in una bancarella gestita dalla moglie. Eddy è laureato in marketing,ha figli già grandi, e fino a sei settimane fa dirigeva il magazine interno di una grossa compagnia.

Una forza che nasce anche dalla fede. Dio è sempre presente. Dio è sempre l’autore del bene, anche quando il male sembra prevalere. La preghiera è sempre parte della vita quotidiana. Eddy dice: “In casa preghiamo il cardinale Otunga (vescovo di Nairobi dal 1971 al 1997 del quale è in corso la causa di beatificazione) che interceda per noi”. Una fede troppo ingenua, superstiziosa, medioevale, come direbbero tanti “illuminati” europei?

A proposito di fede. In questi giorni di Ramadan, Salmin, lo studente musulmano che da qualche mese fa da mio assistente e autista, ne sta rigorosamente seguendo le prescrizioni. Lo conosco dal 2005, quand’era un bimbo di 7 anni, perché la sua famiglia viveva non lontana dal nostro centro di prima accoglienza Ndugu Mdogo, a Kibera. Ieri gli ho raccontato quanto avevo letto online su Silvia Romano.

Del caso di Silvia/Aisha la stampa keniana aveva riportato poco, e ieri la sua liberazione ha meritato solo un articoletto veloce. In passato, e anche in questi giorni, sono stato sollecitato a dire il mio parere. Mi sono sempre rifiutato prima perché non conoscevo la onlus che l’ha mandata a Chakama e le vere circostanze del rapimento, e poi temevo che fosse successo il peggio. Adesso non ne parlo perché continuo a non conoscere bene i fatti e penso che le vicenda sia cosi complessa che per rispetto a Silvia e la famiglia la cosa migliore sia di fare silenzio. Anzi sarebbe ben se l’odioso circo mediatico chiudesse subito lo show che le stanno creando intorno.
Ma torniamo a Salmin. La sua reazione ai commenti italiani alla liberazione di Silvia/Aisha è stata un sereno “Dio è grande. Sarà solo Lui a giudicarci”. Ma, mi son domandato, quanti fra quelli che da tutte le diverse posizioni politiche e religiose, scrivono su Silvia/Aisha, manipolano le sua vicenda e la sua persona, credono ancora al giudizio di Dio? Roba da medioevo.

Padre Kizito, Nairobi – 4 Maggio 2020

L'immagine può contenere: 4 persone, persone sedute e scarpe

Venerdì scorso è incominciato il mass testing per Covid-19 a Kawangware e Eastleigh, quartieri di Nairobi, e a Mvita , quartiere di Mombasa.

Kawangware, che Wikipedia cautamente definisce “quartiere di Nairobi a basso reddito”, è uno dei quartieri più difficili della città, una mescolanza di case in muratura anche a più piani, e di baracche, con forse 200,000 abitanti, e con un rapporto difficile sia con la polizia che con la giustizia. Molti dei ragazzi di Koinonia sono cresciuti a Kawangware, che è adiacente a Riruta, il quartiere di Kivuli e della nostra prima presenza da ormai quasi 30 anni, ed è coperto dalla nostra radio comunitaria, la Mtaani Radio.

La stampa non riporta molte notizie sui risultati di questo tentativo di test di massa perché le persone testate devono dare il proprio numero di telefono dove il risultato del tampone verrà inviato dopo, dicono, 24 ore. La gente teme che insieme al risultato arrivi anche la polizia per costringere alla quarantina. Cosi venerdì c’è stata molta resistenza, e da allora si sa poco circa i risultati. Si sente dire che ci siano stati 20 casi positivi. Mi hanno detto di persone che in questi giorni, finché il mass testing non si sposterà altrove, preferiscono stare altrove, in case di amici, pur di non correre il rischio di essere testati e di essere trovati positivi, che nel migliore di vasi vorrebbe dire due settimane di isolamento in una struttura gestita dal governo, e chi ha fatto questa esperienza non la raccomanda. Poi vorrebbe dire essere isolati dalla propria famiglia e comunità, senza poter avere contatti.

Intanto ufficialmente si registrano dal 13 marzo ad oggi 465 positivi, 24 morti e 167 guariti. Il balzo in avanti dei positivi (30) è ovviamente dovuto al maggior numero di tamponi effettuati (883). Un portavoce del ministero delle Sanità ieri ha osservato che troppa gente non segue le direttive governative ed ha anche minacciato azione legale contro gli imam che organizzano preghiere di notte, tenendo aperte le moschee quando dovrebbe esserci il coprifuoco. Purtroppo però poi succede che nella vita reale un ragazzo ventenne viene fermato dalla polizia perché gira in pubblico con la mascherina abbassata, viene portato alla stazione di polizia, e siccome non ha soldi chiamano la famiglia e lo rilasciano solo dopo che il papà, che guadagno 80 euro al mese paga 20 euro di multa che vanno direttamente nella tasca del poliziotto.

Ieri ho passato la mattinata col gruppo di giovani adulti a Kerarapon, insieme a George Mugo che ha parlato di droghe leggere e pesanti, e dei loro effetti. È un bel gruppo che potrebbe essere uno straordinario caso di studio per un sociologo. Ventitré persone provenienti da tutto il Kenya, di diverse origini etniche. Erano insieme in strada da più di due anni. Si era formata una gerarchia interna, con il capo, l’assistente, i consiglieri e anche il pastore, perché, dicono, “lui conosce il Vangelo”. Noi, come d’abitudine, li abbiamo coinvolti nella gestione della casa e insieme ai nostri educatori tracciare una rotta per il prossimo futuro. Si vedono i primi risultati. Al termine dell’incontro un ragazzo mi ha detto di volermi parlare e appena ci siamo messi in disparte mi ha consegnato un pacchettino accuratamente avvolto in carta igienica dicendomi “Ho capito che fa male. Buttala via tu, che non faccia male anche ad altri”. Questa permanenza a Kerarapon non è solo un parcheggio in attesa che passi la pandemia, è un’occasione straordinaria per cambiare gli orizzonti di tutto la vita.

La frase del Vangelo di ieri, “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” è il senso che i ragazzi di Koinonia vogliono dare al loro camminare insieme a questo gruppo. Al centro della nostra testimonianza c’è il servizio, la cura per l’uomo.

Nella foto: un gruppo di ragazzini recuperato l’altro ieri in una strada del centro città.

Padre Kizito, Nairobi – 26 Aprile 2020

 

Ieri il Presidente Uhuru Kenyatta ha esteso il coprifuoco e l’isolamento di Nairobi, Mombasa e Kilifi di altri 21 giorni. La gente è stanca, ma i casi di Covid-19 accertati sono ormai 343, i morti 14, i guariti 95, e tanti hanno respirato sollevati perché temevano un lockdown totale.

Gli interventi in strada di Jack sono continuati. Sempre accompagnato da un altro dei nostri operatori, ogni giorno, ha sistemato mediamente un ventina di ragazzi in diverse strutture di accoglienza, che avevano manifestato allo Street Families Trust Fund (SFTF) di essere disponibili. I ragazzi in strada sono in estrema emergenza. Meno gente in strada significa per loro meno entrate, meno lavoretti saltuari, meno elemosine, e il coprifuoco significa isolamento totale durante la notte con possibili aggravanti di abusi esterni e interni al gruppo, e quindi più fame e disperazione. L’approvazione e accompagnamento con una protezione legale dello SFTF ha reso questi interventi meno rischiosi per tutti. Quindi anche istituzioni avevano evitato di prendere ragazzi direttamente dalla strada hanno accettato di corresre questo rischio. Sarà più difficile il lavoro a lungo respiro di rieducazione e reinserimento nella famiglia o nella società.

Stamattina abbiamo fatto una bella Messa a Tone la Maji. Nel commento al Vangelo – il racconto di Emmaus – mi sono avventurato a spiegare alla mia comunità – età media 12 anni – la differenza fra la lettura degli avvenimenti fatta dai sue discepoli e quella di Gesù. I discepoli conoscevano i fatti, ma non li capivano, mentre Gesù li capiva nel loro nel loro significato profondo. Anche noi conosciamo persone che sanno tutto, ma non capiscono niente, perché guardano le cose nella prospettiva sbagliata. Alla fine i discepoli capiscono quando si siedono insieme allo straniero a tavola e si riscoprono comunità. Insieme. Insieme, questa parola che possiamo dire anche con “koinonia”. O comunione, comunità, solidarietà. Solo insieme possiamo capire, sia il senso del nostro vivere individuale come quello della collettività, e possiamo continuare il cammino insieme al Risorto. Probabilmente non sono riuscito a farmi capire, ma ci ho provato.

Oggi Jack si è preso la domenica per riposare e faremo con tutto il team il punto della situazione e faremo anche un programma educativo, prevedendo anche dei momenti di lavoro per i più grandi. Per il momento abbiamo ad Anita’s Home 30 bambine. A Tone la Maji 35 bambini, A Kerarapon ci sono 41 minori nella casa e 23 giovani adulti nei dormitori della Domus Mariae, questò è il gruppo che martedì era stato messo provvisoriamente a Tone la Maji. Poi nelle stanze dei lavoratori nelle fattoria di Malbes ci sono 8 ragazzi, maggiorenni o quasi. Domani Jack tornerà in strada, con Besh o con Fred, e ci aspettiamo di ricevere entro sera a Domus Mariae almeno altri 20 ragazzi. Per fortuna ormai nelle strade più a rischio del centro città di bambini non ne sono rimasti molti.

I numeri non danno il senso della bellezza della vita che ci ha travolto, dei volti, dei sorrisi, degli sguardi. Della voglia di superare gli inevitabili scontri e litigi che nascono in un gruppo cosi numeroso di persone che vivono in spazi comunque limitati. Del tifo entusiasta durante le partite di calcio nei vari campetti all’interno delle nostre case. Della placida felicità contemplando un semplice piatto di riso e patate.

Padre Kizito, Nairobi – 23 Aprile 2020

KTN, una delle principali stazioni televisive la scorsa domenica durante il telegiornale aveva mostrato un gruppo di 23 “ragazzi” che vivevano in una situazione precaria nell’Uhuru Park, nel centro di Nairobi. Considerati tutti probabili delinquenti e possibili untori. Nel corso dell’intervista uno di loro, parlando della loro situazione e del fatto che alcuni non mangiavano da giorni, si mise a piangere. Il nostro Jack conosceva quel gruppo già da tempo. Martedì qualcuno si è mosso, ha trovato dei fondi, ha contattato Jack, e in giornata abbiamo trovato loro una sistemazione provvisoria. Ieri sono andato ad incontrarli. E’ arrivato anche il giornalista della KTN e ieri sera è andato in onda il servizio che vi allego. Come vedete i “ragazzi” hanno una media di 25-30 anni, il più giovane 19, il più anziano 60. Tanta sofferenza, tante storie difficili.. Tantissima speranza e tantissima voglia di non perdere questa occasione di rimettersi in piedi attivando tutte le migliori forze interiori.

Mi scuso per non riuscire ormai da oltre una settimana a rispondere alle varie email e sollecitazioni che ricevo ogni giorno.

N.B. (Di seguito il post di P.Kizito con allegato il video dell’emittente televisiva citata)

23 Aprile. Coronavirus in Kenya (15)KTN, una delle principali stazioni televisive la scorsa domenica durante il…

Pubblicato da Renato Kizito Sesana su Giovedì 23 aprile 2020

Padre Kizito, Nairobi – 20 Aprile 2020


In questi giorni ho fatto dei brevi incontri coi quarantun ragazzi che abbiamo riscattato dalla strada il 31 marzo con l’aiuto dello Street Families Rehabilitation Trust Fund e sono a Kerarapon. Ieri ho spiegato loro che presto riceveranno un visita da personale della Sanità per verificare la situazione igienica generale e che magari faranno loro una visita medica completa, anche col tampone per il “corona”. Poi, forse, entro fine settimana, Jack, Fred ed Harrison andranno a prendere in strada altri 40 ragazzi, più o meno. Avremo qualche difficoltà logistica, magari i primi giorni ci sarà qualche difficoltà in cucina… Ma voi siete disposti a ricerli a braccia aperte? Consenso unanime. “Ci sono anche tanti nostri amici!”.
I più grandicelli, 15 anni o giù di li, hanno occhi da stregoni, occhi di persone che già conoscono tutto. come direbbe il mio amico Arnoldo. Occhi che quando gli parli ti guardano fisso, che ti trapano l’anima, ti vogliono leggere dentro, e probabilmente ci riescono. Occhi che hanno visto tutto. Occhi che ti mettono davanti alle tue responsabilità, ti fanno pesare ogni parola che dici, ogni gesto che fai. Non li voglio illudere, sarebbe imperdonabile se tentassi di farlo, ma sarebbe comunque impossibile farlo. Occhi che poi a fine incontro ti dicono che sono ancora capaci di farti credito e di tornare a sperare, credere, amare.
Intanto il coronavirus continua a colpire altre persone, 270 positivi è l’ultimo conto ufficiale che ho visto. Con i mass media che fanno del loro meglio per far conoscere come proteggersi, e stigmatizzano i comportamenti scorretti, come si vede nel titolo del quotidiano di oggi.
A Kivuli ci sono persone che vengono a chiedere aiuto. “Padre ti ricordi di me? Sono stato a Kivuli dal 2002 al 2010. Il negozio dove facevo il commesso ha chiuso, adesso mia moglie è incinta al sesto mese, e non riusciamo neanche a mangiare” mi dice un ragazzo ormai venticinquenne. Poi la sera vedo su un canale TV del Sudafrica che ci sono stati assalti ai supermercati di persone spinte dalla fame. Spero che non succeda presto anche qui.

Padre Kizito, Nairobi – 14 Aprile 2020

Dalla nota precedente è passata una settimana. Settimana in cui la diffusione del coronavirus è stata molto contenuta, e settimana di impegni per Koinonia.
Ad oggi, oltre un mese dopo i primi contagi, i casi di malati di coronavirus sono intorno 208, i morti 9. Il successo di questo contenimento è probabilmente dovuto alle misure drastiche che sono state adottate immediatamente dopo i primi contagi: chiusura delle scuole, chiusura dei confini, quarantena per tutti coloro che hanno dato segni di malattia, rapida identificazione di tutti i contatti dei ma-lati, chiusura di bar e ristoranti, social distancing, coprifuoco dalle 19 alle 5. L’impatto sull’economia è stato devastante, ma dal punto di vista sanitario i risultati sono eccellenti. Finora. Perché non mancano gli ssdit che prevedono si possa arrivare ad avere fra 800,000 e due milioni di morti, come quel-lo di Amref Heath Africa.
Koinonia è in continuo contatto con i servizi sociali governativi, che si trovano ad affrontare situazioni difficili. Mercoledì scorso siamo stati richiesti di intervenire con nostri operatori di strada per aiutare e convincere le varie piccole bande di ragazzi rimasti nel centro città ad essere ospitati in strutture messe a disposizione da diverse organizzazioni. Non è stato facile, e poi nelle strutture i ragazzi non sono stati sempre accolti da personale preparato. Questo sono ragazzi che se sono trattati come in un riformatorio, se si sentono solo gridare ordini, si ribellano. Bisogna coinvolgerli, che sia-no responsabili veri nel gestirsi e gestire il loro gruppo.
Sono state giornate di tensione, durante le quali ci venivano continuamente richiesti nuovi interventi, non solo in strada ma anche nelle strutture dove erano stati inseriti i ragazzi. Mi è anche capitato di ricevere una telefonata con la richiesta di intervenire e dare ospitalità a duecento ragazzi. Duecento?! Come fare? Accoglierli male, in case senza spazi adeguati, magari mettendoli insieme a ragazzi che hanno già fatto un cammino di cambiamento ,sarebbe stato un disastro. Abbiamo studiato altri inter-venti, chiesto auto, Il Venerdì Santo è stato veramente un venerdì di passione. Mi è sfuggita una fra-se infelice, alla quale Bernard ha commentato “togliere questi ragazzi dalla strada è un gesto di pietà come schiodare Gesù dalla croce. E’ la chiamata di Koinonia”. Zittito, Non mi sono più lamentato.
I momenti con i ragazzi sono stati sempre intensi. Giovedì abbiamo celebrato la Cena del Signore nel tardo pomeriggio, nella chiesetta di Tone la Maji, tutti a distanza regolamentare. Per la lavanda dei piedi abbiamo seguito l’ordine di Gesù di lavarsi i piedi l’un con l’altro. Così abbiamo preparato un grande catino, ma proprio grande, pieno di acqua con sapone e disinfettante, con due stracci imbevuti di disinfettante per spostarlo. I ragazzi seduti in un grande cerchio e come d’abitudine a piedi nudi o con gli infradito. Ho spiegato bene come fare, e soprattutto il senso di quello che stavamo facendo poi ho preso il catino e l’ho messo davanti a Kevin, 4 anni e un braccio ingessato, il primo alla mia sinistra, il qualche ci ha immerso i piedi, se li è frizionati un po, e ha passato il catino alla sua sinistra, Di asciugarli non c’era bisogno. L’ultimo alla mia destra era Alex, 16 anni, sempre timido e brusco, il più “anziano” a parte gli operatori. Parla sempre poco, ma capisce bene il linguaggio dei segni. Quando il catino è arrivato a lui, dopo esseri lavato, ha voluto a tutti costi prendere i miei piedi e immergerli e lavarli con le sue mani. Alle fine, mentre uscivamo cercando di non scivolare sulla patina d’acqua e sapone rimasta sul pavimento, si è avvicinato e mi ha abbracciato. Senza parole. Potevo rifiutare in nome del coronavirus?
A Kerarapon, la mattina di Pasqua dopo la messa, ci sediamo all’aperto. Come di regola Jack organizza un giro di auto-presentazione, che spesso diventano momenti di verità. Ognuno dice il suo nome, e qualcosa di se stesso, cosa vorrebbe fare in futuro. Cerco di imprimermi nella memoria volti e nomi, sono importanti, è importante. Poi una dei piccoli – una decina d’anni, ho postato la sua foto di spalle, mentre sniffava colla – sconvolge la procedura perché dice determinato: “Io mi chiamo John, e domani mattina voglio tornare da mia mamma”. Scoppia un applauso. Io approvo, ma gli spiego che sua mamma vive fuori da Nairobi e dobbiamo aspettare che venga rimosso il divieto di lasciare la città. Ma cosi intanto lui avrà tempo di mangiare bene, giocare, fare sport e sua mamma sarà ancora più felice di vederlo tornare forte e cresciuto. John resta ad ascoltare attentissimo, ma due altri della sua età nascondono il viso fra le mani e si mettono a piangere, “anch’io voglio tornare dalla mamma”. Una settimana fa sembravano una banda di delinquenti scafati, oggi sono bambini che vogliono la mamma. Per superare il momento di crisi devo chiamare d’urgenza Harrison per distribuire thè e biscotti, il nostro pranzo di Pasqua.
Senza togliere il merito del contenimento all’immediato intervento del governo, credo comunque che la scarsa presa che il coronavirus sembra avere in Kenya dipenda anche dal fatto che questi ragazzi da piccoli hanno superato ogni genere di infezione, malarie, tubercolosi, nati da una generazione sopravvissuta all’AIDS, probabilmente hanno un sistema immunitario molto ben allenato ad affrontare le malattie. E speriamo che gli scienziati di AMREF si sbaglino.
Perché a dirla tutta, alla fin fine i decreti governativi non sono proprio rispettati alla lettera. Nei due video di pochi secondi ripresi dalla finestra di Kivuli potete vedere come ieri sera alle 18 era la Kabiria Road (social distance? mascherine?) e poi come era 10 minuti dopo l’inizio del coprifuoco.

 

N.B. Qui sotto alleghiamo il post con i due video di  cui si fa riferimento nel testo.

14 Aprile. Coronavirus in Kenya (13)Dalla nota precedente è passata una settimana. Settimana in cui la diffusione del…

Pubblicato da Renato Kizito Sesana su Lunedì 13 aprile 2020

Padre Kizito, Nairobi – 7 Aprile 2020

Il pomeriggio di lunedì 6 il Presidente Uhuru Kenyatta ha annunciato che i casi di Covid-19 erano aumentati a 158, con 4 pazienti guariti e 6 deceduti. Una progressione molto lenta, ma comunque una progressione. L’82% dei casi sono nell’area metropolitana di Nairobi, il resto nelle county (province) di Kilifi, Kwale e Mombasa, le tre più popolate county delle costa. Di conseguenza sono state aggiunte altre misure restrittive al coprifuoco già in vigore, e queste quattro aree sono dalle 19 di ieri per i prossimi 21 giorni, completamente isolate. I collegamenti terrestri, aerei e marittimi col resto del paese sono sospesi. Abbiamo, come Koinonia, avuto qualche ora di panico. Quando la notizia è arrivata eravamo in riunione per organizzare acquisto e distribuzione di cibo e articoli sanitari nelle varie case per bambini, e sembrava che non sarebbe stato possibile o comunque avremmo incontrato difficoltà a rifornire i nostri progetti più periferici rispetto a Nairobi – Anita’s Home, Tone la Maji, Domus Mariae e Malbes. Successivamente è stato chiarito che anche Ngong e Ongata Rongai, e quindi le case che ho appena nominato, sono county incluse nell’area metropolitana di Nairobi.

Resteranno isolati da noi, e impossibilitati a rivedere le loro famiglie per qualche settimana, i nostri due operatori di strada Bernard Dimba e Ken Nyangweso. Con grande tempismo li abbiamo mandati a Kilifi pochi giorni prima che il coronavirus arrivasse in Kenya… Siamo in contatto quotidiano con loro, entusiasti per essere stati scelti per avviare un progetto che sognavamo da tanto tempo. Una casa per bambini in una zona difficile e molto diversa dagli slum di Nairobi, con misera e miserie legate alla presenza dei turisti. Bernard a Ken hanno una carica di spirito di servizio cristiano che son sicuro che riusciranno a fare del sogno una realtà viva.

Oggi a Nairobi ci siamo riorganizzati distribuendo il personale secondo le necessità che continuano a cambiare, ed anche in previsione del totale lockdown che ormai sembra inevitabile. Con tutte le drammatiche conseguenze che potrebbe avere negli slum che più frequentiamo, Kibera e Kawangware.

Padre Kizito, Nairobi – 1 Aprile 2020

In risposta all’appello che ho lanciato il 26 marzo durante il telegiornale della sera, il Street Families Rehabilitation Trust Fund, una fondazione di origine governativa per la riabilitazione della gente di strada, mi ha contattato domenica offrendosi di sostenere Koinonia per un intervento volto a rimuovere 40 dei ragazzi più a rischio da una “base” storica in centro città. Più a rischio per loro stessi e per gli altri. Alcuni di loro sono ormai teenagers, ed hanno alle spalle quasi 10 anni di vita di strada. Il Fund ci aiuta nelle pratiche legali e copre i costi vivi per i prossimi 4 mesi. Koinonia ci mette gli spazi, l’organizzazione, gli operatori sociali… e il rischio.
Ci siamo messi in moto pensando di poter concludere l’operazione entro lunedì. Ma alle 16 del pomeriggio mi rendo conto che non siamo ancora pronti, e non lo saremo entro le 19, quando scatta il coprifuoco. Mando un sms ai responsabili del Street Families Fund. Quasi contemporaneamente, ma lo saprò più tardi, qualcuno decide che i ragazzi devono essere rimossi, e organizza una rimozione forzata. I ragazzi si rifiutano, perché non si fidano di nessuno in autorità. Si scatena uno scontro con scene da guerriglia che finisce nelle notizie della sera. Dal Street Families Fund mi suggeriscono di aspettare qualche giorno. Jack dice “Domani mattina andiamo a parlare coi ragazzi, usando i nostri metodi. I ragazzi ci conoscono e vedrai che accetteranno di venire con noi”
Cosi ieri mattina, martedi, mentre noi organizzavamo materassi, coperte e vestiti puliti, Jack e robert sono andati in centro, si sono sono seduti sul marciapiede ad hanno cominciato a parlare con i ragazzi. Poco dopo mezzogiorno hanno noleggiato un matatu e in meno di un’ora erano nella nostra casa di Kerarapon con 35 ragazzi che ci son venuti di loro spontanea volontà. E’ stato bello vedere Ka-vaya, John, Erick, Harrison, Salmin, Victor, Kirikou e altri allegramente indaffarati a finire la pulizia e disinfestazione generale, mentre i nuovi arrivati familiarizzavano col posto e giocavano a pallone, ancora vestiti con gli stracci della in strada.
Godendo il privilegio della mia età io stavo in disparte a guardare, con l’altro anziano di Koinonia, John. Alcuni ragazzi hanno cominciato ad avvicinarsi. Uno di loro. forse 16 anni, dice senza preamboli “Vorrei fare il meccanico”. Gli risponde John “E’ molto bello che tu abbia già un programma di vita, sarà facile camminare insieme. Però dovrai rinunciare a quella bottiglietta con la benzina che stavi annusando”. Il ragazzo si allontana ad occhi bassi. Mi vinne il mente il giovane ricco che alla proposta di Gesù non vuole rinunciare alle sue ricchezze e se ne va. Ma son tranquillo perché so per esperienza che entro un mese, usando la convinzione e l’esempio, questo ragazzo rinuncerà alla bottiglietta.
I dialoghi sono brevi, I ragazzi sono tosti, accompagnarli nei prossimi mesi per la loro crescita non sarà facile. Però fra di loro potrebbero esserci i futuri Erick, Harrison, Besh. E ognuno avrà modo di scoprire le ricchezze che ha dentro – ben più importanti della bottiglietta di benzina – e arricchire noi. Rientro a Kivuli prima che incominci il coprifuoco. I ragazzi stanno ancora giocando a pallone. Ventiquattro ore fa erano ingaggiati in uno scontro violento. Hanno già fatto un grande passo avanti.
Alle 8 mi chiama Jack: “Qui tutto tranquillo, i ragazzi stanno preparandosi i letti. Sono forti. Se Mr. Corona dovesse farsi vivo sono pronti a sgranocchiarlo come una pannocchia di mais”. Meglio non illudersi e non fare battute che potrebbero illuderli. Insegna loro a rispettare le regole, dico a Jack. Dopo un’ora una chiamata di tono ben diverso. “Un ragazzo sta malissimo, non riesce a respirare, ha bava alla bocca” Ma non protrebbe essere in crisi di astinenza? “No, mi sembra una cosa molto più grave, potresti mandarci Bernard con l’auto per portarlo all’ospedale?” Chiamo Bernard, membro della comunità e autista ben conosciuto dagli amici che ci hanno visitato a Nairobi. Sta a poche centinai di metri da Kivuli. “Bernard, so che c’è il coprifuoco, ma potresti venire per prendere l’auto e portare un ragazza da Kerarapon all’ospedale”. “No problem, arrivo. Convinco io la polizia”. Ma non arriva. Bloccato dalla polizia. C’è un’altra chiamata da Jack: “Problema risolto. Uno degli altri ragazzi mi ha detto che il malato ha regolarmente crisi di asma, e aveva un inalatore nei vestiti vecchi che avevamo deciso di bruciare domani. L’abbiamo recuperato. Domattina lo portiamo al dispensario di Kivuli per una visita”.
Bene. Possiamo tutti andare a dormire.

Padre Kizito, Nairobi – 31 Marzo 2020

In questi giorni Koinonia è stata impegnata in dialogo con una fondazione governativa per preparare un intervento con i bambini che sono stanziati in centro città e sono i più a rischio. Vi aggiornerò su questo intervento stasera.
Ieri sera i contagiati erano saliti a 50. La cosa preoccupante, come faceva notare il ministro della Sanità, è che ormai i nuovi contagiati hanno preso il Covid-19 localmente, al contrario dei primi contagiati che provenivano da un viaggio all’estero. Segno che il virus ha preso piede, e si teme che il numero dei contagi continui a crescere più velocemente. La vicina Uganda ha proclamato ieri il lockdown totale,
Intnato il coprifuoco dalle 19 alle 5 in vigore dallo scorso venerdi, ho cominciato a funzionare. Anche sulla Kabiria road ieri sera alle 19:15 non c’era più nessuno. Alcuni pesanti, violenti, interventi della polizia per costringere al coprifuoco hanno suscitato proteste. La Conferenza Episcopale, nella persona di Mons, Oballa, vescovo di Ngong e presidente della commissione Giustizia e Pace, ha tenuto una conferenza stampa deplorando il comportamento delle polizia, Dichiarazione alla stampa sulla brutalità della polizia (questo il link di cui si parla, per comodità l’abbiamo inserito qui)
I bambini nelle nostre case restano sereni, capiscono che l’isolamento è per il loro bene, sono grati per il livello di assistenza che ricevono. Nonostante i problemi riusciamo a garantire pasti anche migliori che non in passato, e un cucchiaino di moringa una volta al giorno. Sono felici quando ricevono, come è successo ieri a Tone la Maji, un breve video dagli amici del gruppo dell’oratorio di Borgosesia che li hanno visitati lo scorso luglio. Sono sicuro che a Borgosesia hanno sentito arrivare una calda onda di preghiere e amore.
Allego anche il video degli amici di Borgosesia e un brevissimo video di Cynthia, assistente sociale, La finale espressione di titubanza la dice lunga…

 

N.B QUI IL POST di Padre Kizito dove ha condiviso anche due video

31 MarzoCoronavirus in Kenya (()In questi giorni Koinonia è stata impegnata in dialogo con una fondazione governativa…

Pubblicato da Renato Kizito Sesana su Lunedì 30 marzo 2020

Padre Kizito, Nairobi – 27 Marzo 2020

Ieri mattina il nostro Jack Matika ha accompagnato una troupe della KBC (Kenya Broadcasting Corporation, il canale nazionale) a fare riprese dei gruppi di bambini che vivono in centro città, perché essi stessi potessero raccontare come vivono questi tempi di “Corona”. Poi sono venuti a Kivuli ad intervistarmi. Ne è uscito un bel servizio di 4 minuti che è andato in onda ieri sera nei telegiornali delle 19 e delle 21. Ne ho approfittato per chiedere che il governo coordini e sostenga i pochi sforzi in atto per salvare questi bambini. Ho aggiunto che Koinonia è pronta a mettere a disposizione alcuni spazi che ci permetterebbero di ospitare qualche decina di bambini, ma non abbiamo le forze per agire da soli. Spero che qualcuno reagisca positivamente. Provo a caricare il video, se fb lo accetta.

Al pomeriggio ho visitato la Casa di Anita e Tone la Maji. Le più tranquille e felici sono le bambine, che in strada erano in una perenne situazione di pericolo, e quindi di tesnione e paura, ed ora si sentono protette, nutrite, amate. E’ stato difficile parlare con loro tenendole ad almeno 5 metri di distanza, come le team leader Freshia ha insegnato loro.

Al rientro ho saputo la notizia della prima morte da Covid-19 in Kenya. Un keniano di 66 anni rientrato il 13 marzo da un viaggio in Sudafrica.

Ieri pomeriggio sul bollettino del Coordinamento delle ONG Italiana in Kenya (che è in inglese perché molti dipendenti sono keniani), c’era questa nota:

Since yesterday, many Italian NGOs in Kenya received calls from relatives and friends alarmed by an article published by the newspaper La Repubblica. The article referred to alleged violence against the “white man” [sic!].
We would like to point out the polite but strong denial of Father Kizito Sesana, inviting you to forward it to those worried or concerned. We take also the opportunity to alert the OSCs in demanding maximum sobriety from journalists who may contact you.

Per quanto riguarda la Zambia vi invito a leggere un bell’articolo pubblicato in Nigrizia da Diago Mwanza Cassinelli, un amico italiano che da qualche anno ha scelto di vivere con la famiglia a Bauleni, lo slum più marginalizzato di Lusaka (Zambia) dove sono stato “parroco” dal 1980 al 1985.